Un ritorno al passato: la cucina medievale

Sicuramente i lettori ricorderanno il film di Benigni e il compianto Massimo Troisi “ Non ci resta che piangere” dove, dopo una notte di pioggia, si risvegliano nel medioevo italiano nel magnifico panorama della campagna toscana, ebbene ho sempre pensato, fin da piccolino e ritengo come molti di noi, come doveva essere il mondo in quel tempo e vista la mia grande curiosità culinaria, cosa mangiassero gli uomini del quel periodo.

 

E’ molto particolare e curioso l’argomento ma in questo articolo, a differenza degli altri miei, non mi dilungherò molto sull’argomento specifico ma metterò a disposizione del lettore un piccolo ricettario di cucina medievale frutto di una vera e propria ricerca sui libri e ricettari di cui alcuni molto antichi e difficilmente reperibili.

 

Una “prefazione” va fatta tenendo presente che non è possibile parlare di “cucina medievale”, considerando che il medioevo è un periodo lunghissimo che va dal V al XV secolo: mille anni! Pero mi piace personalmente chiamare questo periodo quello della carne.

 

La carne infatti è la protagonista principale della cucina medioevale (diversamente da quanto accadeva in epoca romana in cui era il pane ad essere prevalente e in antitesi con le attuali tendenze salutiste) perché i trattati di dietetica medioevale, influenzati dalle consuetudini alimentari del mondo germanico, sostengono che è la carne l’alimento che nutre di più. La carne è un elemento importante nell’alimentazione di tutte le classi sociali ed è presente anche sulle tavole contadine, grazie alla pratica dell’allevamento e della pastorizia. Anche se tutte le varietà di selvaggina erano molto popolari, perlomeno tra quelli che se le potevano permettere, la maggior parte della carne che veniva consumata proveniva da animali domestici. La carne bovina non era diffusa come al giorno d’oggi, perché allevare le mandrie era molto impegnativo, richiedeva abbondanti pascoli e grandi quantità di foraggio e buoi e vacche erano considerati molto più utili come animali da lavoro e come produttrici di latte. I capi che venivano macellati perché vecchi e non più adatti al lavoro non erano particolarmente appetibili e di conseguenza la loro valutazione era piuttosto bassa. Molto più usata era la carne di maiale, dal momento che si tratta di un animale che richiede meno cure e si nutre di alimenti più economici. I maiali domestici spesso venivano lasciati razzolare liberamente anche nelle città e si nutrivano di ogni tipo di rifiuti organici provenienti dalle cucine, mentre il maialino da latte era considerato una vera leccornia. Molto diffuse erano anche le carni di montone o di agnello, soprattutto nelle zone in cui era più sviluppata l’industria della lana, così come quelle di vitello.

 

Tutte le parti dell’animale venivano mangiate, incluse orecchie, muso, coda, lingua e interiora. L’intestino, la vescica e lo stomaco venivano impiegati per rivestire salsicce e salumi oppure venivano utilizzati dai cuochi per dare al cibo forme fantastiche e artificiali come quella di uova giganti. Tra i tipi di carne allora usate ma rare al giorno d’oggi o considerate inadatte all’alimentazione umana c’erano quelle di riccio e di istrice,occasionalmente menzionate in ricettari del tardo Medioevo. Si mangiava poi un’ampia varietà di volatili tra cui cigni, pavoni, quaglie, pernici, cicogne, gru, allodole e praticamente qualsiasi uccello che potesse essere cacciato. Cigni e pavoni spesso erano addomesticati, ma venivano consumati solo dalla classe più elevata e in effetti apprezzati più per il loro magnifico aspetto (li si usava per creare piatti molto appariscenti da servire in tavola) che per la bontà delle carni. Come succede anche oggi oche ed anatre erano animali domestici piuttosto diffusi, ma non raggiungevano la popolarità di cui godeva il pollo, che in pratica era l’equivalente pennuto del maiale. La carne era un cibo più caro rispetto a quelli di origine vegetale e poteva raggiungere un costo anche quattro volte superiore a quello del pane. Il pesce poteva invece costare anche sedici volte di più, ed era quindi troppo caro anche per le stesse popolazioni costiere. Questo significava che nei giorni di digiuno la dieta, per coloro che non potevano permettersi alternative alla carne e ai prodotti di origine animale come uova e latte, poteva essere piuttosto povera.

 

Una nota che ritengo importante anche perché si diversifica dalle preparazione della carne e che forse non tutti sanno che il Parmigiano ha origini medievali, esattamente al XII secolo: fu addirittura Boccaccio, nel Decamerone a nominarlo, quando, parlando di Bengodi, descriveva una montagna di Parmigiano grattugiato sopra la quale “stavan genti, che niuna altra cosa facevan” , che fare maccheroni e ravioli”. Questo testimonia come con ogni probabilità il Parmigiano esistesse anche secoli prima con una ricetta molto simile al famoso formaggio “Il Piacentino“, basti pensare che addirittura Plinio e Marziale parlano di una produzione di formaggio proprio nelle zone Cisalpine, portato attraverso Luni (paese ligure confinante con la terra toscana) dopo essere stato marchiato proprio con il simbolo della città, una Luna. La tecnica di produzione era molto simile a quella attuale e grazie ai monaci benedettini, particolarmente abili nell’agricoltura, le paludi furono bonificate per rendere i territori adatti ad una coltivazione importante; basti pensare che per iniziare la produzione servivano anche 500 litri di latte per soli 30 kg di formaggio!

 

Tuttavia (tenendo presente che, prima della scoperta dell’America, mancavano sulle nostre tavole pomodori, melenzane, patate, mais, ecc.) è possibile ricostruire un minimo di ricette legate al periodo due-trecentesco, in cui si recuperarono (con il miglioramento delle condizioni di vita in Europa) le ricette di Apicio che, in età romana, ebbero tanta fortuna. Tali ricette, vennero riadattate e arricchite con l’introduzione di ingredienti provenienti dall’oriente e importati in Europa a seguito delle crociate (come, ad esempio, le albicocche, le mandorle, lo scalogno, ecc.); e se le carni, arrostite o bollite, continuarono a farla da padrone sulle tavole dei nobili, poco alla volta cominciarano a farsi strada “zuppe” un po’ più elaborate e, al contempo, delicate, rispetto ai “pastoni” di cui doveva accontentarsi la cultura contadina.

 

E’ evidente che non esistono ricettari e che molto deve essere lasciato alla bravura dello chef, ma qui si possono indicare delle “vie culinarie” elencando gli ingredienti e qualche generica modalità di esecuzione.

Zuppa di canapa (ricetta del 1203 da un manoscritto custodito nella biblioteca apostolica vaticana)

Ingredienti per 12 persone:

450 grammi di semi di canapa, 450 grammi di mandorle sgusciate, 5 fette di pane casareccio, 230 grammi di zucchero,mezzo cucchiaino di zenzero in polvere, mezzo litro di brodo di manzo, alcuni stigmi di zafferano, 3 cucchiai di acqua di rose, spezie dolci a piacere.

Preparazione: far bollire i semi di canapa fino all’apertura, scolarli e conservare l’acqua di cottura; pestare insieme semi, mandorle e fette di pane (queste ultime precedentemente messe in ammollo) emulsionando con un po’ di brodo di carne. Appena ottenuto un composto omogeneo, versarlo nel restante brodo di carne e acqua di cottura e cuocere (a fuoco bassissimo) per non meno di 40 minuti. Negli ultimi cinque minuti di cottura, aggiungere l’acqua di rose. Servire caldissimo con un pizzico di spezie dolci aggiunte alla fine

Porrata bianca al latte di mandorle (ricetta trecentesca)

700 grammi di porri, latte di mandorla (da dosare alla bisogna), 10 g. di zenzero in polvere, mezzo cucchiaino di cannella in polvere, mezzo cucchiaino di cardamomo, mezzo cucchiaino di noce moscata, mezzo cucchiaino di chiodi di garofano

Preparazione: mischiare a parte cannella, cardamomo, noce moscata e chiodi di garofano; cuocere la parte bianca dei porri in acqua salata bollente e poi frullarli fino a ottenere un composto molto fine. Aggiungere il latte di mandorle e lo zenzero e riportare il tutto ebollizione fino a che il composto si addensi. Servire bollente e aggiungere, a piacere, dal piattino delle spezie preparate a parte, proprio come si fa col formaggio sulla pasta

Sformato verde (ricetta trecentesca)

Pasta brisèe, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 mazzetto di menta fresca, 1 mazzetto di foglie di bietola, 1 mazzetto di spinaci, qualche foglia di lattuga, 1 mazzetto di maggiorana fresca, qualche foglia di basilico, sei uova e tre tuorli, acqua, 1 cucchiaino di zenzero in polvere, 1 cucchiaino di cannella in polvere, un quarto di cucchiaino di pepe nero macinato, un quarto di cucchiaino di spezie fini, 40 g. di parmigiano grattugiato, sale, zucchero in polvere.

Stendere la pasta brisèe (preparata a parte e lasciata riposare in frigo qualche ora, foderiamo uno stampo e la precuociamo in forno per 20 minuti. Per il ripieno: lavare tutte le verdure e frullarle fino ad ottenere un purè vellutato, aggiungere acqua e filtrare. Sbattere le sei uova aggiungendo sale e parmigiano e unire al composto di verdure e aggiungere le altre spezie. Versiamo il ripieno nella pasta quando si sarà bene asciugata in forno. Cuocere per un’ora a 220 gradi controllando il fondo della pasta. Un quarto d’ora prima di sfornare, sbattere i tuorli e mischiarli alle spezie fini e spennellare la parte supriore della torta rustica. Servire con un LEGGERISSIMO strato di zucchero in polvere (pare che non ci stia male)

Il piatto di “Carlo Magno” (variabile di piatto antichissimo, forse già in voga nel IX secolo)

Ingredienti: mezzo litro di brodo di manzo, due kg di fave fresche (se non è stagione, il piatto si può realizzare anche con i piselli), 100 grammi di lardo salato, un cucchiaio di prezzemolo tritato fine, un cucchiaio di menta fresca, sale

Preparazione: togliere le fave o i piselli dal baccello e sbollentarle qualche minuto. Scolare salvando un po’ di brodo e passare sotto acqua fredda. Se si usano le fave, praticare su ognuna una piccola incisione e spellarle. Tagliare il lardo a dadini e mettere in casseruola un po’ di brodo fave e lardo. Portare a ebollizione e cuocere per dieci minuti fino allo sbriciolamento delle fave. Aggiungere prezzemolo e menta appena tritata e riportare ad ebollizione per 4-5 minuti. Servire con fette di pane casereccio

Ricetta di cinghiale: (XIV secolo) 2 kg di carne di cinghiale per arrosto, mezzo litro di vino rosso, un quarto di litro di aceto, un quarto di litro di agresto, 60 g. di pane casereccio arrostito, 1 cucchiaino di zenzero in polvere, 1 cucchiaino di cannella in polvere, 1 cucchiaino di melegueta pestata, 1 pizzico di chiodi di garofano, 12 grammi di sale grosso, 1 rametto di rosmarino

Preparazione: mescolare vino, aceto, agresto sale e spezie per preparare la salsa di condimento. Mettere a bagno il pane nella salsa fino a farlo gonfiare e poi pestare il tutto per ottenere un composto omogeneo. Sbollentiamo la carne e togliamola dall’acqua appena avrà cambiato colore. Mettiamo in forno già caldo su una griglia posta su una leccarda. Cuocere 20-25 minuti ogni mezzo chilo. Bagnare spesso l’arrosto con la salsa usando il rametto di rosmarino come pennello. A fine cottura versare il resto della salsa sull’arrosto

Nel medioevo i dolci tipici erano torte semplici, biscotti e frutta candita

Bevande: oltre al vino, naturalmente, birre crude e poco filtrate, idromele (distillato di MIELE) e sidro (distillato di MELE); come “bibite” per bambini si usava il mosto, oppure il “vinello” (seconda premitura allungata con acqua).

 

Il mio consiglio è chiaramente quello di realizzare le ricette al fine di far provare alle vostre papille gustative nuovi sapori che vi assicuro vi meraviglieranno piacevolmente!

Buon appetito!

Domenico di Catania

Food consultant

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